(Napoli, 6 agosto 1845 – 8 febbraio 1929)
La fama dello scultore napoletano, che già aveva fatto parlare di sé, giovanissimo, presentando nel 1863, alla II “Esposizione della Società promotrice di belle arti di Napoli” la terracotta raffigurante “Un garibaldino ferito" (oggi al Museo di Capodimonte), è legata a due opere impegnative, “Parassiti” e “Proximus tuus”, esposte tra il 1877 e il 1890. La prima, presentata all’ “Esposizione Nazionale di Napoli del 1877, scatenò un polverone. “Parassiti” assurse, come suggerisce il critico Schettini, a simbolo di un’arte che veniva democratizzandosi, assumendo in Italia atteggiamenti di umanitarismo polemico: “Ora il soggetto predominava sulla forma, la quale andava spogliandosi dei vecchi costumi del quadro storico per cogliere dal vero i drammi e le angustie della miseria”.
Presentata anche all'Esposizione di Belle Arti dello Champ de Mars a Parigi, “Parassiti” non passò inosservato, tanto che Diego Martelli lo definì "il più bel pezzo di tutta l'Esposizione" e, il re Vittorio Emanuele II ne fece realizzare, a sue spese, la fusione in bronzo che fu poi destinata alla Galleria d'arte moderna di Firenze, dove tuttora si trova. L’opera “Proximus tuus” non fu da meno: raffigurava un lavoratore abbrutito dal lavoro, abbandonato a terra, esausto e con una vanga appoggiata sulle gambe. Entrambe le opere furono, secondo M.A. Fusco, furono “emblema della più spinta soluzione della plastica veristica italiana. D’Orsi svolse un ruolo significativo anche come docente. Allievo all’Istituto di Belle Arti dello scultore Tito Angelini (accademico di stampo purista), ebbe nella seconda metà dell’Ottocento – invitato da Filippo Palizzi - libera docenza di scultura al fianco di Emanuele Caggiano. Dal 1905 ne assunse la cattedra e, dopo la morte di Domenico Morelli, fu presidente dell’Istituto. Durante i suoi 50 anni di attività didattica D’Orsi tenne a battesimo i più importanti scultori napoletani dell’età Liberty.
La sua opera fu vasta e spesso legata alla committenza pubblica. Per il Palazzo Reale di Napoli modellò la statua di Alfonso d’Aragona, massiccia e ampollosa, e per via Nazario Sauro, la statua di Umberto I. Sul frontone dell’Ateneo napoletano eseguì in bronzo i rilievi laterali con Giovan Battista Vico e Giordano Bruno. Eseguì busti (come quello di Francesco De Sanctis, nella Villa Comunale di Napoli, o di Filippo Palizzi, nella Galleria nazionale d'arte moderna di Roma).
Numerose furono le onoreficenze conferite all’artista morto a Napoli l'8 febbraio 1929. A causa dell'estrema povertà in cui versava la famiglia, i funerali furono celebrati a spese del Comune.