(Cetona, 12 settembre 1872 – 28 ottobre 1958).
Inizialmente l’arte fu coltivata da Balestrieri come un hobby. Giovanissimo, infatti, aveva come unica fonte di guadagno un’attività di decoratore di stanze. La sua fortuna è legata a un’altra passione, la musica, che l aveva ispirato anche nelle sue prime opere. Fu la musica la musa che guidò la sua mano nella realizzazione del “Beethoven”, un quadro di romanticismo esasperato che incontrò subito il favore del grande pubblico, soprattutto all’Esposizione Universale di Parigi del 1910. Nella capitale francese l’artista bohémien si era stabilito dal 1893 e aveva esposto, senza fortuna, due quadri al Salone di Parigi. Con “Beethoven” fu investito da un successo improvviso e travolgente. “A centinaia di migliaia, tricomie e quadricomie dell’opera famosa – ricordava un critico suo amico – invasero le case, gli uffici, gli alberghi e perfino gli atelier dei pittori”. Il suo nome è inevitabilmente legato a quel dipinto, acquistato per cinquemila lire dal Comune di Trieste e finito al Museo Revoltella della città, dove si trova tuttora. Nel 1902 Balestrieri venne a Napoli per visitare il suo maestro Domenico Morelli ormai in fin di vita. Fu un’esperienza forte che volle riprodurre su tela in “Gli ultimi giorni di Domenico Morelli”, esposto prima a Monaco (1902), poi a Venezia (1903). Al successo di “Beethoven” ne seguirono molti altri tanto che il pittore, per compiacere il pubblico, fu costretto a rifare se stesso scadendo, talvolta, in un sentimentalismo patetico. Continuò a essere il cantore dei geni della musica e della poesia ed eseguì dipinti come “La Walchiria”, “Tannhauser”, “Parsifal”, “Sonata a Kreutzer”, “Manon”, “Trittico di Chopin”, “Wagner a Parigi”, “Marcia funebre”, “Tristano e Isotta”, “Faust”, “Graziella”, ai quali vanno aggiunti, in acqueforti colorate e acquerelli, “Il gelo”, “La moglie del poeta”, “l’attesa dell’editore”, “L’addio”, “Il bacio”, “Monte di pietà”, “La roulotte”, “L’oeuvre di Emile Zola”, “Racconto di caccia”. Volle rinnovarsi e aderì, dopo alcune esperienze veristiche, al futurismo in voga negli anni del primo dopoguerra. Marinetti, che aveva uno spiccato senso della propaganda, lo accolse con clamore; e quella fu per Balestrieri l’ultima stagione in cui riuscì a far parlare di sé come artista. “L’avvento della pace”, il dipinto realizzato da Balestrieri per donarlo alla Pinacoteca dei Giornalisti Corrispondenti, misura 3 metri e 20 per 1 metro e 90. Di questa donazione scrisse il Mattino nel settembre 1917, alla vigilia dell’inaugurazione della sede di Palazzo Gravina, definendo il quadro di Balestrieri di “una vitalità grandiosa e una efficacia mirabile” Il futurismo non toccò, però, le corde di un pittore ormai cinquantenne portato a tradurre romanticamente la realtà.
A Napoli, dove nel frattempo si era trasferito e dove insegnava decorazione, diresse il Museo Artistico Industriale (fu anche autore dell'opuscolo “La verità del Museo Artistico Industriale di Napoli”) e, per molti anni, l’Istituto d’Arte di Napoli. Magro, dai lineamenti affilati, era uomo, racconta chi lo conobbe tra gli anni quaranta e cinquanta, che incuteva soggezione e che aveva una cupa vena malinconica. Una volta che fu “in pensione” (1937) e soprattutto dopo la morte della moglie (27 luglio 1940) cominciò ad avvertire nostalgia per la sua Cetona. Lasciò Napoli nel 1941, per trascorrere nella città natìa le giornate a dipingere (fu anche illustratore di cartoline), a scrivere le sue memorie (rimaste inedite) e a ricevere quei giornalisti che ancora lo ricordavano come l’autore di “Beethoven”.