(Napoli, 1874 - 1937)
Fu un artista singolare (sulla sua porta non il nome, ma una targhetta di legno con un grappolo d’uva dipinto), definito l’ultimo bohèmien di Napoli o anche un “succoso pittore del bel seicento napoletano”. Operò e visse, nella prima metà del nostro secolo, all’ultimo piano (scala D) di un palazzone in via Cesare Rosaroll 16. Fu proprio lui, nel 1928, a inventarsi il Piccolo “Quartiere Latino” (nome datogli dal giornalista Libero Lo Sardo); convinse, infatti, il proprietario del grande terrazzo dell’ultimo piano a costruire - in legno e muratura - altri dieci locali da affittare, per 12 lire mensili, ad altrettanti artisti, tra i quali Bresciani, Buonoconto, Ciardo, Lalli, Mercadante, Prisciandaro, Rispoli e Striccoli. L’iniziativa fu riportata anche dal “Roma”, quando il 16 dicembre 1928 alle ore 11 il “Quartiere” definito da Alberto Buonoconto “una stazione aerea di pittura” venne presentato alla città.
Autore di nature morte, galline e ritratti di donna, per lo più contadine, “Peppino Uva - scrive Alfredo Schettini - era forse il personaggio più pittoresco. Rinsecchito dagli anni e dall’accanito lavoro, era diventato tutto naso, angoli, zigomi, e per una specie di mimetismo somigliava al più vecchio dei suoi gallinacci. Tutto sbrindellato, col camice bianco chiazzato di colori, a mezzogiorno in punto usciva a dare il becchime ai suoi pennuti. Li chiamava per nome ed essi gli correvano incontro”.
“Uva - racconta Piero Girace - rassomigliava a quei santi anacoreti macerati dai digiuni, e nello stesso tempo poteva far venire in mente certi pastori dello scultore Sanmartino che popolano gli antichi presepi napoletani”. E ricorda: “Lassù in quel suo studio angusto, gremito di nature morte (in massima parte grappoli d’uva d’ogni qualità), il vecchio artista non si limitava a dipingere, ma vi trascorreva la sua esistenza tra conversazioni interminabili con gli amici del vicino “Quartiere” e non meno interminabili con l’amica, modella ancor giovane, che oltre a posare per lui badava anche alle faccende di casa (…) Nei momenti di ozio si aggirava nella spaziosa terrazza del “Quartiere”, intrattenendosi a conversare con le giovani massaie che sciorinavano i panni al sole oppure faceva una capatina nello studio di Vincenzo Ciardo: “Che si dice don Vicié? Che stai preparando di bello?”.
Nel 1938, in seguito alla morte di Peppino Uva, il Quartiere Latino chiuse i battenti.
L’opera “La forosetta”, vezzeggiativo d’origine medievale che definisce una leggiadra villanella (lo usò il Cavalcanti) propone i suoi soggetti preferiti, la donna semplice e attraente e la gallina (animale caro all’artista).