(S. Giorgio La Molara, 9 marzo 1883 – 2 aprile 1967)
L’artista sannita, ultimo di nove figli di una famiglia di commercianti, formatosi nella Napoli dei primi del Novecento, frequentando l'Istituto di Belle Arti di Napoli, dove fu allievo di Michele Cammarano e Stanislao Lista, si caratterizzò come artista impegnato. Era un socialista (ma di un socialismo umanitario alla Silone) in cui alcuni critici vollero vedere un precursore del neo-realismo. Lo si ricorda, infatti, come il pittore dei contadini del Sannio dove andò a vivere quando, negli anni Trenta, decise di sottrarsi al conformismo fascista per ritirarsi con la famiglia nel paese di origine.
Esordì come pittore nel 1903, partecipando all'esposizione del Circolo Artistico Partenopeo e, nel 1908, alla II Esposizione Quadriennale di Torino. Fu subito notato dai maestri contemporanei che l’invitarono alla Esposizione Internazionale di Roma del 1911. In quello stesso anno, non ancora trentenne, Ciletti partì per New York, dove visse un paio di anni. Tornato a Napoli all’inizio del 1915, si reinserì nel circolo culturale del Gambrinus, familiarizzando con pittori e poeti, fra cui Salvatore Di Giacomo. Nel 1916 fu tra gli artisti napoletani a cui il futurista Boccioni indirizzò il Manifesto dei Pittori Meridionali. Nel 1917 realizzò anche la bellissima opera cui diede un titolo meno bello, “I rimasti”, che presentò con successo, insieme con altri dipinti, alla XXXVIII “Promotrice Napoletana Salvator Rosa”. Nel buio di una chiesa illuminata da una luce tagliente e dorata, due anziani, a capo chino, sembrano meditare, stanchi. E’ un’opera intensa ed espressiva che la Camera di Commercio di Napoli acquistò per contribuire all’arredamento, come fecero anche il Comune e la Provincia, della nuova sede dell’Emeroteca – Sala Stampa a Palazzo Gravina, allora edificio postale. Un’altra opera di Ciletti fu acquistata dal Re Vittorio Emanuele III.
Il 1917 fu anche l’anno in cui il pittore sannita si trasferì nello studio appartenuto a Domenico Morelli, artista morto nel 1901. Nel 1919, in occasione della mostra allestita alla Floridiana di Napoli, il Re acquistò un'altra opera di Ciletti, che oggi fa parte della Quadreria del Quirinale. Stimato da Sem Benelli che lo invitò alla grande Esposizione Nazionale de La Fiorentina Primaverile, nel Palazzo delle Esposizioni in Parco San Gallo a Firenze (1922), illustrò le poesie di Edoardo Nicolardi (1928).
Per sottrarsi al fascismo e all’impeto futurista (fu anche aggredito nella Villa Comunale da un gruppo di facinorosi) abbandonò Napoli. Nel suo eremo in cima a un monte nel Sannio, dove tornò nel 1932, Ciletti realizzava i suoi quadri ispirandosi ai coltivatori e ai braccianti della sua terra, dei quali, con lo zelo di uno scrittore verista, descriveva e raccontava storie piuttosto amare e dolorose. Gli interni bui dei suoi quadri, a volte di una tristezza tragica, facevano pensare a Teofilo Patini che della pittura cosiddetta sociale fu nel primo Novecento il rappresentante più noto. Nicola Ciletti visse anche una parentesi politica, divenendo sindaco di San Giorgio La Molara nei primi anni del dopoguerra. Espose poi a Benevento nel 1954, a Roma, nel 1958 e nel 1965, a Napoli nel 1960.