Storia

Una storia lunga più di 100 anni

LA PRIMA organizzazione giornalistica napoletana, il Sindacato Corrispondenti, nacque nel 1907 in un ammezzato di un edificio ora scomparso di via Monteoliveto 75, di fronte allo storico Palazzo Gravina che era già sede delle Poste e dei Telegrafi, dove i giornalisti si recavano più volte al giorno per telegrafare ai quotidiani le corrispondenze sui fatti di rilievo nazionale, a mano a mano che essi accadevano.

Nello stesso edificio abitava il pittore Edoardo Dalbono, nella cui casa si riunivano Salvatore Di Giacomo, Luca Postiglione, Pietro Scoppetta, Libero Bovio, Michele Cammarano e il brillante intrattenitore Vincenzo La Bella. La vicinanza di tanti artisti fu, probabilmente, di stimolo ai giornalisti corrispondenti nella loro successiva attività collaterale di organizzatori di serate  di beneficenza nei teatri napoletani.

La piccola sede al piano ammezzato, concessa ai giornalisti corrispondenti dalla Direzione delle Poste che, per anni, l’aveva adibita a deposito di lettere e biglietti postali destinati al macero, affacciava sul “Caffè Molaro” , antico bar demolito negli anni Trenta, di cui si ha traccia solo in letteratura, e prima "redazione" dei corrispondenti napoletani (sembra fosse anche luogo degli appuntamenti di Salvatore Di Giacomo con la giovane fidanzata Elisa).

I FONDATORI E I PRIMI DONATORI

Nicola Daspuro

Vincenzo Tucci

 Tre giornalisti d’origine pugliese (Nicola Daspuro, Francesco Dell'Erba e Vincenzo Tucci), uno di origine lucana (Floriano del Secolo), i napoletani Silvio Amoroso, Salvatore Aversa e Roberto Cantalupo (vice-corrispondente diciasettenne divenuto poi senatore e, infine, ambasciatore), Silvano Fasulo, Valentino Gervasi, Eugenio Guarino, Alfredo Lamb, Giuseppe Lomonaco, Ettore Lupo, Achille Mango, Gennaro Nappi, Pasquale Parisi, Saverio Procida, Luciano Ramo, Ernesto Serao, Mario Sergio e altri fondarono il sodalizio nell’agosto del 1907, ratificando l’evento il 30 marzo 1908 con una regolare assemblea che elesse Daspuro presidente e Mango segretario. Fin dalla nascita, la piccola associazione avviò la raccolta di giornali e riviste, indispensabili strumenti di lavoro. Ma fu soltanto il 25 giugno del 1913, col trasferimento della sede nel Palazzo Gravina, grazie all'intervento del ministro delle Poste Teobaldo Calissano, che l’Emeroteca poté avere una vera e propria sala per la consultazione pubblica gratuita delle sue collezioni insieme con altri cinque grandi locali. La struttura, situata al primo piano e attigua agli impianti telegrafici, ebbe anche tavoli per la redazione degli articoli e armadi per la custodia delle raccolte di giornali e riviste. Generata da un'esigenza professionale, l'emeroteca crebbe in fretta grazie a molte donazioni, fra le quali la più importante arrivò dal napoletano Vincenzo Riccio, divenuto nel 1914 ministro delle Poste nel primo Gabinetto Salandra. Avvocato ma anche pubblicista, Riccio era un appassionato collezionista di giornali. Possedeva: “Il Lampo” (1848-49), “Il Pungolo” (1860-1911), “Il Piccolo” (1869-1891), “Capitan Fracassa” (1883-1889), “Popolo Romano” (1883-1910), “La Tribuna (1886-1891) e il periodico a giorni alterni “Don Chisciotte (1887-1898). Donò tutto ai suoi colleghi partenopei. Un altro ministro, il piemontese Francesco Ruffini (uno dei dodici universitari che nel 1931 rinunceranno alla cattedra per non piegarsi al giuramento di fedeltà al fascismo) donò nel 1916, subito dopo essere stato nominato ministro della Pubblica Istruzione, la raccolta di tutte le opere di Giuseppe Mazzini, splendidamente rilegata in pergamena.

DA PALAZZO GRAVINA AL PALAZZO VACCARO

Vincenzo Tucci, succeduto a Mango trasferitosi a Roma, seppe dare grande impulso allo sviluppo dell'emeroteca, riuscendo, all’inizio del 1917, a ottenere dalle Poste come sede al piano nobile quattro saloni e altri due vani, che erano stati abitati dei principi Orsini; e dalle Poste ottenne anche librerie e sostegni finanziari. I maggiori artisti del tempo (Aprea, Balestrieri, Carignani, Casciaro, Ciletti, D’Abro, Jerace, La Bella, Magnavacca, Parente, Passaro, Postiglione, Prisciandaro, Uva, Vetri, Viti insieme con Comune, Provincia, Camera di Commercio e Banco di Napoli donarono dipinti (dei quali, un paio, andati distrutti nel bombardamento del 4 dicembre 1942). La volta del salone più grande ebbe due affreschi dell’originale pittore Ezechiele Guardascione, il cui figlio Franz negli anni Settanta avrebbe assiduamente frequentato l’Emeroteca e la Sala Stampa in qualità di presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania.
Ai dipinti, negli anni seguenti, fu aggiunto il dono di quattro sculture firmate da Achille D'Orsi, Saverio Gatto e Francesco Mercatali.

La nuova splendida Sala Stampa - Emeroteca fu inaugurata la sera dell’11 ottobre del 1917 dal ministro delle Poste Luigi Fera, un penalista così descritto dal parlamentare e giurista Titta Madìa: “l’avvocato travolgente, parla in pubblico con larghe citazioni filosofiche e in privato con truculenti locuzioni da calabrese irato e senza timore di Dio…la sua intelligenza è scardinatrice, la sua coscienza è retta, il suo dispregio per l’intrigo è palese; si carica di cambiali ogni volta che ascende al governo, se ne monda, quando discende, con soli sei mesi di esercizio professionale”.

Dell’inaugurazione si occuparono i maggiori giornali italiani. Il “Mattino” dedicò all’avvenimento la “spalla” a quattro colonne, esattamente la metà della sua prima pagina che era listata a lutto per la recente morte del fondatore e direttore Edoardo Scarfoglio. Significativo risultò “l’attacco” del discorso del ministro: “Posta e giornale non possono vivere una vita disgiunta. Non sono essi associati a una comune e grande opera di civiltà? Non mirano essi ad un unico fine che è quello della più vasta diffusione delle notizie e della cultura?

Nello stesso anno un altro visitatore poco comune era stato accolto nella Sala Stampa di Napoli. Lo raccontava Vittorio Ricciuti, il 6 giugno 1936, in un articolo apparso sull’edizione napoletana del “Giornale d’Italia” col titolo “La Sala Corrispondenti di Palazzo Gravina”: Nel maggio 1917 un ospite di eccezione sedette più volte a uno dei tavoli della nostra sala da lavoro. Era un caporale dei bersaglieri, il Direttore del Popolo d’Italia. Tornava dalla trincea, dove, comportandosi da valoroso, era stato ferito. Ancora convalescente, egli riprendeva, con quello spirito polemico e battagliero che già in quell’epoca lo faceva guardare da tutti con ammirazione, il suo posto di combattimento. Dalle cabine telefoniche del nostro Sindacato furono dettati alcuni dei quei fermi, decisi, scultorei, poderosi articoli che fecero dell’organo milanese il giornale più letto e più discusso del tempo”.
Con l’enfasi richiesta dal regime fascista, Ricciuti ricordava, inoltre, che cinque anni dopo, anche  Michele Bianchi e Dino Grandi “nei febbrili giorni della vigilia” avevano visitato la Sala Stampa-Emeroteca “dalla quale, si può dire, partirono irradiandosi per tutta l’Italia, le prime notizie della Marcia su Roma”

L’aver ospitato il futuro capo del governo fascista non evitò in seguito usurpazioni e spoliazioni al “Sindacato Corrispondenti” che fu assorbito nel Sindacato Fascista dei Giornalisti, divenendone una sezione cui venne affidata la gestione dell’Emeroteca come generosa concessione (la stessa operazione sarebbe stata  fatta con la Società Napoletana di Storia Patria fondata nel 1876 e disciolta nel 1938, quando un commissario governativo s’impossessò della sua sede e della sua biblioteca, dando vita alla Regia Deputazione di Storia Patria i cui membri erano tutti uomini del governo fascista). L’Emeroteca subì perdite notevoli per ordine del Federale che si appropriò, per esempio, dei volumi dei quotidiani del 1924, convinto di cancellare, in tal modo, dalla storia il capitolo orrendo del delitto Matteotti. Bisognò attendere oltre mezzo secolo per ritrovare sul mercato dell’antiquariato grande parte delle pubblicazioni sottratte. Andarono perduti invece molti volumi di quotidiani del periodo della conquista dell’Impero richiesti dall’avvocato napoletano Vincenzo Tecchio, deputato fascista legato a Farinacci, ideatore e vertice della Mostra d’Oltremare, per l’inaugurazione del complesso (realizzato su un’area di un milione di metri quadrati) avvenuta il 9 maggio 1940 alla presenza del re imperatore Vittorio Emanuele III. La mostra visse un solo mese, a causa dell’entrata in guerra dell’Italia, riaprendo i battenti dodici anni dopo. Dei volumi dell’emeroteca dei giornalisti nessuna traccia. Al fascista Tecchio il Comune di Napoli decise disinvoltamente di intestare la grande piazza antistante la Mostra.

Nel 1936 la sede della "Tucci" fu eretta nel nuovo grande palazzo delle Poste di piazza Matteotti. Da allora molte generazioni di giornalisti corrispondenti si sono avvicendate nella gestione della crescente struttura presso la quale ogni anno centinaia di giovani preparano le tesi di dottorato o di laurea al fianco di ricercatori provenienti dalle università degli Stati Uniti (California, Florida, Indiana, Nevada e Wisconsin), del Giappone (Tokio, Kyoto, Hiroshima), della Gran Bretagna (Bath, Cambridge, Exeter, Glasgow, Londra, Oxford, Nottingham, Reading, Uxbridge), della Germania (Bamberg, Berlino, Brema, Francoforte, Heidelberg, Marburg), della Francia (Parigi, Poitiers, Strasburgo), dell'Australia,

di Amsterdam, Caracas, Malta, Madrid, Toronto e Varsavia.

Tra i giornalisti che riattivarono l’emeroteca nel dopoguerra ci fu Enrico Mascilli Migliorini, scomparso nell'agosto del 2016 a 94 anni, qui ritratto all’epoca in cui era preside della Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino, mentre conversa con il rettore  Carlo Bo (a sinistra nella foto).
Il professor Migliorini ha diretto il quotidiano “Messaggero Veneto” e le sedi Rai di Cosenza, Ancona e Firenze, dopo aver guidato la redazione Rai di Napoli. E' stato autore di decine di  libri riguardanti in prevalenza sociologia e comunicazione. 

Oltre al Ministero delle Poste avevano contribuito allo sviluppo dell'Emeroteca con interventi finanziari, sin dal 1915, il Ministero della Pubblica Istruzione con Epicarmo Corbino ministro, la Provincia presieduta dal giurista Matteo Galdi, il Comune col Duca Pasquale De Pezzo sindaco, la Camera di Commercio sotto la presidenza di Giovan Battista Mauro e il Banco di Napoli per iniziativa di Nicola Miraglia, il direttore generale nominato da Luigi Luzzati per salvare l'istituto dal fallimento. Da alcuni anno sono rimasti soltanto la Camera di Commercio (Socio sostenitore) e il Comune, ai quali per un breve periodo si sono aggiunti l'Istituto Banco di Napoli-Fondazione e l'Ordine dei Giornalisti della Campania (dal 2008 al 2022). Il Ministero dei Beni Culturali ha sostenuto in maniera esigua l'attività della Tucci dal 2002 al 2010, per poi riprendere l'erogazione di un contributo annuale a partire dal 2016, anno in cui l'Emeroteca-Biblioteca Tucci è stata ammessa per la prima volta all'una tantum del 2 x 1000.

Varata nel 1996, una legge della Regione Campania permise il potenziamento della "Tucci" fino all'anno 2001. Nel 2002 la Giunta decise di interrompere il finanziamento di quella legge. Per ripristinarlo ci sono voluti quasi quindici anni, ma solo per il 2016.

La Società delle Poste Italiane ha compiuto un notevole sforzo per mantenere il distacco presso l'emeroteca di un gruppo di postini, divenuti negli anni archivisti e bibliotecari. Di quel gruppo, purtroppo, oggi resta una sola unità.