Libera Carelli

Libera Carelli di Domenico De Vanna

Domenico De Vanna

(Terlizzi 18.8.1892 - Napoli 9.11.1980)

L’artista pugliese si trasferì nel capoluogo campano per iscriversi all’Istituto di Belle Arti, dove ebbe per maestro Michele Cammarano dal quale imparò l’uso essenziale dei colori. Risale al 1912 la sua prima esposizione alla “Promotrice” con un’opera dal titolo “Maometto”, che riscosse un discreto successo da parte degli addetti ai lavori. Presente alla I Mostra collettiva pro-Vomero, da Matilde Serao le sue opere furono definite, nelle pagine del “Giorno”, “dense di un lirismo e di un affascinante senso nuovo del colore e della forma che avvolge un contenuto di profonda umanità”. “Ben presto, scrisse il critico Paolo Ricci, si adeguò a un certo gusto simbolista, ispirandosi alle forme tendenti alle curve e alle volute del floreale”. Divenne consulente artistico e cartellonista per le produzioni della “Lombardo Film”, della “Vesuvius” e della “Megale Film”.

Nella sua prima personale, a Napoli nel 1922, De Vanna espose oltre trecento quadri. Viaggiò molto per l’Europa, soprattutto in Germania e Olanda, dove compose una serie di opere ispirate al Liberty e dove si specializzò in “immensi ritratti di donne in cui si nota una certa maniera macchiaiola nel sintetizzare le forme con schietta verità” (Ricci). Una delle sue opere più note “Le signore in una terrazza” (1920) ha un taglio squisitamente moderno, realizzato con pennellate squadrate e nette. Stile che ritroviamo anche nel ritratto della poetessa Libera Carelli con cui collaborò nel 1963 per la pubblicazione di una serie di quaderni intitolati “Il Romitaggio”, aventi come sottotitolo “Discorsi di uomini onesti per un’arte onesta”. Pur nella tarda maturità, il pittore continuava a vivere come un bohèmien, solo, senza legami coniugali, lavorando “con l’impeto dell’impressionista, con l’amarezza e l’angoscia dell’espressionista, rivelando una colorazione doviziosa, e con impasti grevi, paesi e personaggi nelle calde atmosfere della costiera amalfitana, tra le luci arroventate dei tramonti estivi, o fosche di certi interni di proletari, o misteriose delle sagre notturne” (Pietro Girace).

I critici vedono nella pittura di De Vanna, tutta luci e ombre, qualcosa di secentesco; tuttavia la sua arte “aveva pure le sue fasi idilliche” e talvolta i suoi paesaggi, soprattutto quelli amalfitani, “vibrano nella luce e testimoniano dell’estasi del pittore”. Il 12 settembre 1943 una pioggia di spezzoni incendiari distrusse la casa colonica in cui erano custodite tutte le sue opere, tra le quali vi erano 150 dipinti, mobili antichi, incunaboli, manoscritti e giornali riguardanti la sua attività artistica. Cinque anni dopo realizzò gli affreschi di una sala del Grand Hotel de Londres in piazza Municipio. Fino al 1980, compatibilmente con alcuni problemi di salute, si occupò di dipinti e affreschi anche per alcune chiese della Campania e partecipò a mostre in Italia e all’estero.